Campione

    



    Mi chiamo Cristian e ho nove anni e mezzo. Parlo poco, ma penso tanto. Me lo dice sempre la mamma quando parliamo al telefono. La casa rossa dove vivo da sei mesi con papà ha muri alti e tante stanze. Da tutte le finestre che ci sono si può vedere il verde giardino che fa il giro della casa.  Ci sono fiori, scivoli, altalene, alberi e due gattini che però vengono da noi solo quando hanno fame: si chiamano Mimmo e Biagio, uno è bianco e l’altro è nero, uno ha la coda e Biagio non ce l’ha più. Chissà che fine avrà fatto! Insieme a me e a papà  vivono anche altri bambini insieme ai loro genitori. C’è Federico che mi ha detto che da grande vuole fare il pompiere,  Marta che parla sempre con Elena la sua amica invisibile, Enrico che non sa dire la n, Mario che mi ruba sempre la matita a scuola e Serena che va sulla bicicletta dei grandi, quella con solo due ruote. 

    La scuola dove papà mi porta tutti i giorni si trova nel grande palazzo grigio, proprio di fronte la casa rossa dove viviamo. Ricordo quando per la prima volta  papà mi ha detto il nome di quel grande palazzo: “Cri, questo posto si chiama Ospedale e le persone che hanno qualche problema possono trovare qui la soluzione giusta per loro. Ti prometto che sarà così anche per te!”. Il mio papà è sempre calmo, paziente e disponibile con tutti e non diventa mai nervoso come il papà di Giada. Quando nella sala dei giochi non trova Gigi -il mio coniglio preferito- quando la macchina che mi aiuta a stare meglio è occupata, quando l’attesa per entrare in sala operatoria è più lunga delle altre volte, lui chiude per qualche secondo gli occhi, fa un respiro profondo e quando li apre fa una carezza sulla mia testa liscia senza capelli, mi sistema sulla bocca la mascherina con le macchinine blu e sorride. Fa così sempre e poi mi dice che “tutti i problemi si risolvono con la calma, Cri”. 

    Qualche giorno fa, mentre ero in ospedale per fare la puntura che mi fa stare meglio, nel letto vicino al mio c’era una ragazza con i capelli neri che piangeva, io la guardavo ed ero preoccupato  per lei e ho capito subito che anche papà aveva la mia stessa preoccupazione. Ad un certo punto lei mi ha guardato e mi ha detto “Ciao”; per me il suo saluto è stato una sorpresa e non sapevo proprio cosa dire, la mia bocca non voleva aprirsi perché ogni volta che vedo le persone che piangono divento fermo come una statua. Allora papà ha detto “Ciao” alla ragazza e subito dopo le ha dato un fazzoletto profumato alla menta. Lei ha preso il fazzoletto, ha detto “Grazie” e ha tirato su col naso. Poi papà le ha detto “Scusami se mi permetto, ma sento di dirti che sei nel posto giusto, cerca di stare tranquilla perché c’è una soluzione a tutto. Sai,  imparare a conoscere e a convivere con la malattia è già un passo in avanti per poterla affrontare e per sconfiggerla. Cerca di essere forte!”. La ragazza con i capelli neri ha guardato papà e io ho capito che lei voleva dire tante cose, ma forse non era quello il momento e allora tra le tante parole che giravano nella sua testa ne ha scelte due e le ha tirate fuori con un filo di voce:  “Grazie Davvero”. Subito dopo la ragazza è stata portata in sala operatoria e non l’ho più vista, ma i suoi occhi umidi sono ancora davanti ai miei ogni volta che penso a lei.

     La mia maestra preferita di chiama Carla e da due mesi ha iniziato a chiamarmi “campione”. Quando le ho chiesto “perché mi chiami così?” lei mi ha detto che papà le aveva detto che le medicine che i dottori mi avevano iniziato a dare attraverso quel tubicino trasparente che andava a finire nel mio braccio stavano iniziando a funzionare bene su di me e che dovevo continuare così. Papà mi ha detto che presto torneremo dalla mamma e da Marco, il mio fratellino di tre mesi. Mi ha detto che ci stanno aspettando e che anche i nonni non vedono l’ora di rivedermi. Anche papà ha iniziato a chiamarmi come mi chiama la maestra Carla, ma ogni volta che lo fa io penso che per me il vero campione sarà per sempre lui. 

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